di Stefano Signori*
C’era un tempo in cui quando un artigiano, commerciante o imprenditore doveva chiedere un fido, il direttore dell’istituto bancario andava a vedere di persona le gru, i capannoni, i magazzini del potenziale debitore; era un personaggio ben inserito nella realtà economica locale.
I profitti della banca venivano in buona parte da questa attività e non erano pochi: dopotutto, ricavava interessi da denaro che per il 90% era creato dal nulla e per il 10% apparteneva non alla banca ma ai depositanti, che di interessi non ne vedevano. Oggi non quel tempo non esiste più. Oggi il bancario deve vendere a qualsiasi malcapitato entri in banca assicurazioni, prodotti finanziari che maleodorano, derivati e strutturati col trucco e di cui il cliente non ha bisogno. Vuoi il fido? Allora beccati anche questo swap dollaro-yen, o questa quota di hedge fund con portafoglio colmo di azioni di Pechino. Non ti occorre? Eppure la banca, per darti il fido, ti chiede di contribuire ai profitti dell’istituto, che oggi si fanno così. Altrimenti niente credito.
I risultati sono tristemente noti: negozi ben avviati portati al fallimento dalla leva negativa di quegli strutturati su cui bisogna pagare margini che superano i fatturati; prestiti-ponte per pagare quei debiti improvvisi; colossali indebitamenti occulti di Comuni, Province e Regioni.
Non è colpa dei bancari. E’ che il loro status è stato cambiato: parte del loro stipendio oggi dipende dai risultati, ossia da quali schifezze e truffe hanno rifilato ai clienti. Ridotti a promotori finanziari senza preparazione specifica, assillati dagli uffici-marketing che dettano quale cliente chiamare, a quale ora e per quale prodotto e dalla telefonata del capoarea che vuole risultati, altrimenti niente incentivi e premio annuale. I vecchi direttori hanno perso la delega: non sono più loro a dire se quell’artigiano o impresa merita di essere affidato, ma processi automatizzati, decisi da lontani computer con software irreali, made in USA. Processi di vendita massificati, non serve pensare: tutto è pianificato dagli arroganti neo-banchieri che imitano Wall Street.
La vera tragedia è che un tempo la banca era quantomeno una ausiliaria dell’economia reale, dell’industria e del commercio. Oggi ne è il parassita distruttore. E’ un cambiamento di cultura, come si dice: dal credito come ausiliario al credito-marketing predatorio. Invece è urgentissimo cambiare subito quella «cultura», magari con punizioni esemplari e penali. Perché ora vige la recessione, le occasioni di profitti finanziari diminuiscono e gli avvoltoi speculativi hanno preso di mira l’ultimo settore dell’economia reale: l’agricoltura, quella che ci dà da mangiare, che soddisfa i primari bisogni umani.
Il settore schifato per decenni (i crediti ai coltivatori non rendono niente, meglio l’hi-tech e l’ingegneria finanziaria) diventa di colpo appetibile alla speculazione. Il trasporto delle derrate dall’altra parte del mondo costa sempre più (caro-petrolio, mancanza di offerta di flotte), sicché l’autarchia agricola può ridiventare conveniente. Anche in recessione, la gente deve mangiare. Soprattutto la domanda è superiore all’offerta e tale resterà per decenni. Occorrerà che la produzione globale di cibo cresca del 3,3%. Si sa, in tempi di recessione, di economia a crescita negativa, è una pacchia per la speculazione: i prezzi cresceranno per decenni perché i terreni agricoli non sono sufficienti, anche la rimessa a cultura delle terre che la UE ha voluto lasciare incolte dando incentivi alla non-coltura aggiungerà solo l’1% annuo alla terra arabile.
Naturalmente, la speculazione vede subito l’affare in questo modo: investire direttamente in queste materie prima attraverso exchange traded funds, ossia altri strumenti finanziari esoticamente strutturati. Ma, ancora una volta, con quella cosiddetta cultura trionfante nel mercato libero globale e non andando a studiare quelle aziende, a vedere le loro fabbriche, pensare dove e perché sia meglio investire. Troppo difficile. La soluzione è pagare qualcun altro per farlo.
Ancora una volta, vogliono i vostri soldi e vi fanno balenare il sogno di fare profitti stando in poltrona, mentre milioni nel mondo faticano sulla terra, strozzati dal credito, e altri milioni chiedono di mangiare. Naturalmente è il solito inganno. Vogliono rifilarci un altro prodotto strutturato, un altro derivato, un incomprensibile bond. Con questa «cultura» dominante, non ausiliaria ma predatoria, si affamerà il mondo. Perché l’agricoltura, anche la più «efficiente», non si presta ai profitti rapidi e monetari richiesti. Nessuna tecnologia, nessun alimento gonfiato o ormonizzato, indurrà una mucca ad accelerare il parto del vitello (richiederà sempre dieci mesi!). Nessun fertilizzante Monsanto aumenterà del 30-40% la produzione di granaglie.
Il segreto dell’agricoltura è risparmiare investimenti al minimo necessario per la produzione naturale, non aumentarli a dismisura e a credito. Quelli renderanno sterili terre, e strozzeranno contadini, per accalappiare un profitto semestrale da mostrare a Wall Street. Quelli stanno mettendo i loro becchi dentro l’ultimo, cruciale settore dell’economia reale e in piena recessione. Draghi se ne accorgerà due anni dopo. Inutili i suoi sforzi a dettare nuove regole per regolare e bloccare la speculazione, da dentro casa è difficile cacciare il gatto.
*Presidente Confartigianato imprese di Viterbo