L’applicazione dell’intervento di sostegno al reddito per i cittadini che vivono in situazioni di povertà, voluto fortemente dal Governo Conte, dovrà passare per un necessario rafforzamento dei Centri per l’impiego. Finiti nel limbo del Job Act e oggetto del complicato passaggio di competenze tra Province e Regioni in applicazione della Legge Delrio, i CPI dovrebbero essere anello di congiunzione irrinunciabile per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma ad oggi nella realtà dei fatti risultano scarsamente efficaci. L’analisi dei dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat evidenzia, infatti, che nel 2017 le persone occupate che non lo erano nell’anno precedente hanno maggiormente utilizzato come canale di ricerca il contatto con amici e parenti (40,7%); segue l’essersi rivolto direttamente al datore di lavoro (17,4%) mentre il ricorso al Centro per l’impiego viene ritenuto utile solamente dal 2,4%. Anche l’utilizzo di questi servizi da parte delle imprese per le assunzioni appare marginale: secondo l’ultima rilevazione disponibile (Unioncamere – Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, 2015) sulla modalità di selezione (al 2014) solo l’1,5% delle imprese ha utilizzato per ricerca e selezione del personale un Centro per l’impiego, affidandosi prevalentemente alla conoscenza diretta (58,9%) e a banche dati aziendali (26,2%).
“I dati ci dicono che per rendere veramente efficace l’azione dei CPI – commenta il segretario provinciale di Confartigianato Imprese di Viterbo, Andrea De Simone – è necessario un piano massiccio di investimenti per il rilancio di queste strutture, le cui unità di personale sono fortemente al di sotto della media europea. L’Italia spende meno degli altri Paesi UE per servizi per il mercato del lavoro: lo 0,04% del Pil, inferiore allo 0,36% della Germania, dello 0,25% della Francia e anche al più contenuto 0,14% della Spagna”.
Gli investimenti, tuttavia, devono procedere di pari passo con una riorganizzazione del servizio che sia in grado di affrontare le sfide della modernità, a partire dallo snellimento della burocrazia. Secondo il monitoraggio dell’Anpal (2018), sono 2.849.086 i contatti con i Centri per l’impiego negli ultimi 12 mesi, con un rapporto di 359 contatti per operatore, che sale a 465 nel Nord-Est e scende a 315 nel Mezzogiorno. La quota di operatori dedicati al front office nel Mezzogiorno è dell’82,3%, 2,4 punti percentuali in meno della media del Centro-Nord (84,7%). La quota di operatori laureati dei Centri per l’impiego è del 30,0% in media nazionale, con una forte differenziazione a livello territoriale: mentre la quota di laureati è del 34,1% nel Centro-Nord, questo indicatore si dimezza al 17,4% nel Mezzogiorno.
“In Italia ci sono esempi virtuosi di Regioni in cui statisticamente i centri per l’impiego funzionano bene, come in Veneto e in Emilia Romagna – continua De Simone -. Un rinnovato servizio pubblico dei CPI dovrà rappresentare un valore aggiunto di livello avanzato per imprese e lavoratori e andrà gestito con criteri di modernità ed efficienza, perché incrementare la spesa mantenendo le vecchie matrici organizzative rischierebbe di rendere inefficace l’intervento attuato con risorse pubbliche”.
Grazie alla richiesta di forza lavoro da parte delle aziende, poi, secondo gli ultimi dati al secondo trimestre 2018 il tasso di disoccupazione risulta al 10,7%, riduce di 0,3 punti rispetto all’anno precedente, con un calo dell’1,2% del numero dei disoccupati. Tale riduzione è resa possibile dall’aumento della domanda di lavoro delle imprese: al secondo trimestre 2018 nelle imprese del manifatturiero, costruzione e dei servizi le posizioni lavorative dipendenti (a tempo pieno e a tempo parziale) sono aumentate del 2,5% su base annua, con un aumento del 3,4% delle ore lavorate. Favorire la neo imprenditorialità e garantire condizioni di contesto che riducano la mortalità delle imprese nei primi anni di vita è un’altra cura contro la disoccupazione: l’occupazione delle imprese nate nel 2011 e sopravviventi al 2016 in cinque anni passa dai 149.710 addetti alla nascita ai 302.478 del 2016, con un aumento di 152.768 unità, pari al +102%, mentre le imprese che non sopravvivono perdono 202.603 addetti.
“Unitamente allo stanziamento dei fondi per incrementare il personale dei CPI, una gestione integrata dei Centri per l’impiego, magari anche con l’introduzione di moderni data base che in pochi click diano risposta immediata alle esigenze delle imprese e contemporaneamente a quelle di chi è in cerca di lavoro – conclude il segretario provinciale di Confartigianato – e l’adozione di modelli unici su tutto il territorio nazionale, utili a snellire i percorsi burocratici, potrebbero davvero rappresentare una rivoluzione per i CPI e portare ad una diminuzione costante del tasso di disoccupazione”.