I lavoratori, soprattutto quelli qualificati, sono sempre più difficili da trovare. Nel 2023 le imprese italiane non sono riuscite a reperire il 45,1% della manodopera necessaria, pari a 2.484.690 posti rimasti scoperti, con un aumento del 4,6% rispetto al 40,5% del 2022.
Le cose vanno peggio per le piccole imprese che nel 2023 hanno avuto difficoltà ad assumere il 48,1% del personale, e per gli artigiani la quota di lavoratori introvabili sale al 55,2%.
A dirlo è il rapporto di Confartigianato “Alla ricerca del lavoro perduto” che fotografa una vera e propria emergenza per gli imprenditori italiani ed europei. La scarsità di personale con le giuste competenze frena le transizioni ecologia e digitale ed è indicato come il problema più grave dal 58,1% delle Pmi del nostro Paese, a fronte del 54,1% della media delle Pmi dell’Ue. Per le nostre aziende la difficoltà a trovare lavoratori qualificati supera di gran lunga i problemi della burocrazia, dell’accesso al credito, della concorrenza sleale.
Lo scorso anno, le Pmi non sono riuscite ad assumere 828mila lavoratori con competenze green, vale a dire il 51,9% del personale necessario con questo tipo di qualificazione. Non va meglio per i lavoratori con competenze digitali. Nel 2023 le piccole imprese ne cercavano 449mila capaci di gestire tecnologie relative a big data analytics, internet of things e robot. Di questi, però, 246mila, pari al 54,9%, sono risultati di difficile reperimento.
Secondo il rapporto di Confartigianato, la ricerca di personale ha tempi medi di 3,3 mesi che possono superare un anno per trovare operai specializzati. Tutto questo per le piccole imprese ha un costo che Confartigianato quantifica in 10,2 miliardi di euro di minore valore aggiunto per le ricerche di manodopera che durano oltre 6 mesi.
Per reagire alla carenza di personale, il 66% dei piccoli imprenditori ha adottato una serie di strategie. In particolare, un quarto delle aziende ha puntato sulla collaborazione con le scuole, soprattutto quelle ad indirizzo tecnico e professionale. Secondo Confartigianato, infatti, per il 72% dei lavoratori necessari alle piccole imprese è richiesto un titolo secondario tecnico o con qualifica o diploma professionale o una laurea in materie scientifiche, tecnologiche ed ingegneristiche (STEM).
E mentre le aziende cercano lavoratori, i giovani non cercano lavoro, con 1.534.000 persone tra 25 e 34 anni inattivi, pari al 24% della popolazione. L’Italia è al primo posto nell’Ue per il peso dei giovani inattivi, con una quota quasi doppia di quella degli altri maggiori paesi europei: la Germania registra il 13,2%, la Spagna il 12,5% e la Francia l’11,7%. In un caso su quattro (24,1%) i giovani inattivi sono in possesso di un diploma di laurea. Nel Mezzogiorno il tasso di inattività dei giovani 25-34 anni sale al 36,8%, vale a dire esattamente il doppio del 18,4% del Centro-Nord.
“Per colmare il gap tra domanda e offerta di lavoro – sostiene Marco Granelli, presidente di Confartigianato – bisogna partire dalla scuola, di tutti gli ordini e gradi, che deve imparare ad insegnare la ‘cultura del lavoro’, mischiando sapere e saper fare, superando la storica separazione tra formazione umanistica e formazione tecnica per preparare davvero i ragazzi ad affrontare un mondo in continua evoluzione. Crediamo molto nelle iniziative come il Liceo del made in Italy e nei nuovi percorsi di formazione professionale che il Governo ha promosso. Però, affinché funzionino davvero e diano risultati, sono necessari il potenziamento della parte di formazione tecnico-pratica e il coinvolgimento diretto degli imprenditori nel ruolo di formatori”.