Il presidente di Confartigianato Giorgio Merletti e il Segretario Generale Cesare Fumagalli sono protagonisti di un’intervista a due voci e a tutto campo sui temi che stanno a cuore all’artigianato e alle piccole imprese: dalla digitalizzazione ai nuovi profili professionali, dalla lotta alla contraffazione alla contrattazione, fino all’accesso al credito e alle aspettative nei confronti del Governo. Le interviste, pubblicate ieri sul Giornale di Merate, sono state realizzate nel corso dell’incontro-visita nella sede meratese del Gruppo editoriale Netweek (che conta 64 testate locali e 38 quotidiani online in sei regioni d’Italia) da parte dei vertici nazionali della Confederazione e di alcune delegazioni del Sistema Confartigianato. A intervistare Merletti e Fumagalli il direttore editoriale del Gruppo Netweek Giancarlo Ferrario. I contenuti delle interviste sono stati rilanciati anche sulle testate on line del Gruppo.
Ecco di seguito il testo della doppia intervista.
Confartigianato ha investito molto negli ultimi anni per favorire la digitalizzazione delle sue imprese e la crescita dell’innovazione tecnologica. Ci può spiegare a che punto siamo?
Fumagalli: “Durante gli ultimi dieci anni abbiamo attraversato una grave crisi, periodo nel quale si sono sviluppate due forze che hanno concorso a cambiare le cose: globalizzazione e digitalizzazione. Elementi in grado di squassare il mare tranquillo del 2008/2009. E così ci siamo interrogati se le imprese che rappresentiamo fossero le ultime di una storia passata e resiliente e questi fenomeni fossero in grado di farle chiudere. In realtà, il digitale è uno straordinario driver nei confronti della globalizzazione. E il portato storico degli artigiani italiani, incrociato con il digitale, è in grado di dare risultati meravigliosi”.
L’Ufficio studi di Confartigianato recentemente ha evidenziato che le sue imprese sono complessivamente pronte ad assumere 743.100 persone, ma che hanno difficoltà a reperire queste figure sul mercato del lavoro. Ma come è possibile? Quali sono oggi le figure che ricercano gli artigiani 4.0?
Merletti: “Quello che manca sono le competenze. Per arrivare a raggiungere un livello adeguato, si deve passare per il contratto di apprendistato, che è stato letteralmente massacrato dal Jobs Act. Le figure che mancano sono quelle vicine alle nuove tecnologie, alla programmazione, alle macchine a controllo numerico. Nuove tecnologie che non fanno paura all’artigiano, il quale è per natura curioso e fa innovazione tutti i giorni. Mancano poi analisti di software, tecnici meccanici, operatori di macchine con movimento terra e saldatori”.
Le imprese denunciano carenze nel trovare personale. In altre parole, non si incrociano la domanda con l’offerta. Cosa serve per risolvere il problema?
Fumagalli: “Di certo non servono i Navigator, anche se nessuno ha in tasca la ricetta giusta. Ci vuole una riforma, che al momento non pare essere in campo, sulla formazione professionale, oggi spaccata per 21 Regioni, e il recupero della reputazione in termini di investimento sulla manualità. Manualità che pur sta vivendo una seconda stagione, mentre prima era giudicata un retaggio del passato, magari un po’ romantico. Più di una volta abbiamo provato ad accendere un dibattito sulla necessità di cambiare il percorso di formazione professionale, che è sempre stata vista come la Cenerentola dell’istruzione e spesso è stata la festa dei formatori, ma non si può fare finta che questa sia intoccabile. Tutto mentre siamo la seconda manifattura d’Europa… Per poter fare prodotti di un certo tipo la formazione è decisiva”.
Lotta alla contraffazione e battaglia per il Made in italy continuano ad essere di attualità, ma non si riescono a risolvere. I falsi poi colpiscono 95 mila piccole imprese con 475 mila addetti. Cosa fare per debellare questo fenomeno?
Merletti: “Sono problemi molto diversi tra loro. Nel primo caso la colpa è degli italiani e di un’occasione persa nell’aprile 2014, quando avremmo potuto portare a conclusione il provvedimento sulla tutela dell’origine dei prodotti approvata dal Parlamento Europeo avendo in quel semestre l’Italia la guida del Consiglio Europeo con Matteo Renzi. Ma sotto la presidenza italiana non è stata neppure messa all’ordine del giorno…”.
Chi sono gli italiani che non vogliono? Confindustria?
Merletti: “Non lo so… Per noi comunque il Made in Italy significa fare cultura. In questo senso, bisogna alfabetizzare il cliente anche se si chiama Obama…”.
Cosa le piace del Decreto Crescita e cosa invece non la convince di questo provvedimento?
Fumagalli: “E’ un decreto sofferto, in cui hanno trovato accoglimento molte e varie cose che c’erano in giro da fare. Contiene cose positive che ci aspettavamo, ma anche provvedimenti sui quali, purtroppo, abbiamo segnalato forti criticità. Per citare un esempio, troviamo una nuova versione degli ecobonus, una misura bandiera di una delle due parti che guida il Governo, che danneggia fortemente le imprese esecutrici. L’altro provvedimento che ci fa storcere il naso è l’eliminazione della lettera “R”, una possibilità che consentiva alle Regioni di far transitare il rilascio delle garanzie per le piccole imprese dai Confidi anziché dal Fondo di garanzia. Si è acuito il problema dell’accesso al credito di piccolo importo”.
Rimaniamo proprio sul tema del credito. E’ ancora un problema per l’accesso degli artigiani?
Fumagalli: “Si, abbiamo registrato un calo nello stock dei crediti alle imprese artigiane. Dai 54 miliardi del 2009 siamo scesi ai 36 miliardi di oggi; e continua ad essere in calo. Mentre prima era un problema legato al costo del rischio, ed era comprensibile un’analisi sul merito del credito, la novità ora è il costo industriale, tale per cui per le banche istruire un finanziamento da 30 mila euro o 300 mila euro ha lo stesso onere”.
Il Governo gialloverde è in affanno, spesso prevalgono polemiche, contrasti, divisioni e ipotesi di crisi. E così a farne le spese sono i provvedimenti, come quello del salario minimo…
Merletti: “Il salario minimo non serve. Se si va a vedere i contratti di categoria, c’è già tutto e basta applicarli. In questo Paese non vengono fatti controlli spesso. Le cose ci sono già, basta applicarle. Come i CCNL che sono fatte da associazioni molto autorevoli. Il nostro rapporto con l’esecutivo? Qualcuno mi dice che gliele suono o comunque gliele abbiamo fatte notare. Tutto bene fino a quando pensiamo che se acquistiamo un macchinario, poi rientriamo dall’investimento attraverso il lavoro e non il reddito di cittadinanza. Se invece partiamo dal reddito per creare lavoro, siamo degli illusi. Al Governo diciamo che non ci fanno paura i contratti. Tenuta dei conti, investimenti per lo sviluppo e la rivoluzione del Paese, innovazione ed infrastrutture, senza dimenticare un piano armonico per il movimento di persone e merci: così ci possiamo rimettere in marcia e non invece litigare, stando fermi…”.