Il mix di generazione elettrica è alla base del divergente andamento dei prezzi al consumo dell’elettricità riscontrata nei maggiori paesi europei. Nonostante il deragliamento del prezzo del gas, in Italia l’utilizzo di questa commodity è aumentato a fronte di una riduzione nel resto d’Europa.
L’analisi del report mensile dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) dell’Ocse evidenzia la differente reazione delle maggiori economie europee all’escalation dei prezzi del gas, letteralmente deragliati nella seconda metà del 2021. A gennaio 2022, sul totale di energia elettrica prodotta nei dodici mesi, in Germania il 42,6% proviene da rinnovabili, il 29,2% dal carbone, il 14,9% dal gas e l’11,1% dal nucleare. In Francia domina il nucleare, dal quale proviene il 67,4% della produzione di elettricità, seguito dalle rinnovabili con il 23,3% mentre l’uso del gas è limitato al 5,8%. Maggiore esposizione dell’Italia alla bolla dei prezzi del gas, fonte con cui viene prodotta la metà (48,4%) dell’elettricità, superiore al 41,5% della quota da rinnovabili, mente è basso l’utilizzo di carbone (5,4%) e petrolio (3,6%).
Anche l’analisi della tendenza nell’ultimo anno mostra ampie differenze tra i maggiori paesi europei. Sul fronte delle rinnovabili, la produzione eolica è in calo in Francia (-8,9%) e Germania (-5,7%), mentre è in controtendenza in Italia (+5,6%). La produzione da solare sale del 13,1% in Francia e del 4,0% in Germania, mentre ristagna (+0,8%) in Italia. I fenomeni di siccità hanno determinato una diffusa riduzione di produzione di energia idroelettrica.
Nel cuore green dell’Europa, in Germania, la produzione di elettricità con il carbone, oltre ad avere un peso più elevato, sale di molto nell’ultimo anno, segnando un aumento del 20,1%. La Francia, pur registrando un contributo del carbone più limitato, ha aumentato del 61,5% la produzione questa commodity, mentre per l’Italia la crescita si ferma al 5,6%.
E il gas? Costa troppo, e di conseguenza Francia e Germania, che peraltro già lo usano meno, ne riducono ulteriormente l’utilizzo, rispettivamente del 5,1% e del 6,0%. Al contrario l’Italia, con quasi metà dell’elettricità prodotta dalle centrali a gas, ne aumenta l’utilizzo, registrando una crescita del 5,6%; stiamo parlando di una commodity che a dicembre 2021 segna un aumento del 255% dei prezzi all’importazione.
Le differenti matrici di generazione elettrica e le loro evoluzioni nella crisi, determinano un divergente andamento dai prezzi dell’elettricità al consumo. Secondo i dati Eurostat pubblicati giovedì scorso, il prezzo dell’energia elettrica sale dell’82,3% in Italia, un ritmo doppio della media dell’Eurozona, a fronte di un più limitato dinamismo in Germania, dove i prezzi salgono del 17,6%, e in Francia, dove l’aumento si ferma al 6,0%.
Sulla base dell’evoluzione dei prezzi, a parità di consumo, le famiglie italiane nell’ultimo anno hanno speso per l’energia elettrica 5,4 miliardi di euro in più rispetto ai dodici mesi precedenti, pari allo 0,33% del PIL. In chiave territoriale, l’incremento di spesa più elevato in Lombardia con 939 milioni in più, seguita da Lazio con 534 milioni, Sicilia con 464 milioni, Veneto con 463 milioni, Campania con 453 milioni ed Emilia Romagna con 424 milioni.
Gli effetti recessivi sono più intensi nel Mezzogiorno, dove la maggiore spesa è pari allo 0,49% del PIL a fronte dello 0,30% del Centro e dello 0,28% del Nord; la ricaduta più intensa dello shock dei prezzi si registra in Sardegna con la maggiore spesa che è pari allo 0,57% del PIL regionale, seguita da Sicilia con 0,56%, Calabria con 0,54% e Puglia con 0,49%.
L’estensione di queste tendenze sul mercato elettrico delle imprese determinerebbe una perdita di competitività, aggravando la già fragile posizione precedente all’inasprirsi della crisi energetica: nel primo semestre del 2021 una piccola impresa italiana pagava un prezzo dell’elettricità del 12,9% superiore rispetto alla media dell’Eurozona.