Viterbo, 13 agosto 2014 | ||
Sono molteplici i fattori che interagiscono tra loro, spesso in forma contraddittoria, contribuendo a determinare la debolezza della società civile italiana. Sempre più spesso, nell’indagare le possibili cause di questa situazione, siamo portati a focalizzare l’analisi esclusivamente sugli aspetti strutturali connessi al sistema politico, mentre è più efficace indagare le logiche storico-culturali ed etico – sociali che sono alla base di della nostra società. Gravi sono le responsabilità della politica, analizzata sia dal punto di vista delle logiche stataliste e centralistiche, sia da quello delle logiche regionali, che hanno favorito la burocratizzazione dei processi di organizzazione della vita associata e la deresponsabilizzazione dei cittadini, incrementando così il malcontento e la disaffezione nei confronti della cosa pubblica. Ferme restando tali colpe, le ragioni della situazione attuale sono più complesse e hanno radici più profonde che rinviano la riflessione sui rapporti che hanno caratterizzato fin dalla nascita lo sviluppo della società italiana e concorrono a spiegare l’anomalia del nostro sistema politico. Non è ammissibile che le due anime della società, civile e politica, camminino come due realtà nettamente separate, il nuovo pensiero politico le deve rendere mutuamente interagenti; non si può infatti contrapporre una società animata da tensioni ideali e valoriali a uno stato clientelare e corrotto. I fenomeni negativi che contrassegnano la conduzione della vita pubblica nel nostro Paese non dipendono soltanto dal cattivo funzionamento delle istituzioni o della loro occupazione da parte dei partiti, animati da uomini che hanno scelto come professione la partitocrazia – per quanto determinanti possano risultare questi elementi –, ma sono anche espressione di un costume diffuso che investe l’intera società. La persistenza di uno scarso senso civico e di appartenenza collettiva; l’assenza di un’etica culturale comune che è la base necessaria della convivenza; le rivendicazioni settoriali; il prevalere di interessi particolaristici e corporativi; la tendenza all’autoreferenzialità e al perseguimento di obiettivi puramente individuali o di gruppo. Questi comportamenti, espressioni di una pessima pratica di governo, oltre a provocare la segmentazione del tessuto sociale, creano le condizioni per la trasformazione della politica in baratto, destituendola di ogni tensione progettuale. La riacquisizione di significato della società civile e la restituzione ad essa delle funzioni che è chiamata a svolgere per il bene dell’intera collettività sono dunque strettamente dipendenti. Ne consegue che, prima ancora di riformare la politica, è necessario “stimolare” la capacità che essa ha di recuperare al proprio interno una cultura e un’etica del sociale che si traduca nella produzione di un nucleo di valori condivisi, capaci di interpretare correttamente le esigenze di una società pluralistica e differenziata come l’attuale e di favorire, nel contempo, la convergenza verso obiettivi di bene comune. La possibilità di questo recupero appare oggi maggiore che per il passato, se si considera che, a fronte della crisi ideologica e politica, o forse proprio a causa di questa crisi, emergono nuovi fermenti culturali e nuovi soggetti portatori di istanze etiche. Basti pensare ai movimenti che si sono venuti sviluppando anche nel nostro Paese o ancora alla sempre più ampia diffusione delle associazioni di volontariato sociale e assistenziale; movimenti e associazioni, come Confartigianato, che appaiono accomunati dalla ricerca di una nuova piattaforma valoriale, che restituisca senso e qualità alla vita personale e collettiva. L’impegno per la produzione di un’etica comune, frutto dell’interazione e dell’integrazione di proposte derivanti da modelli culturali diversi, costituisce pertanto il primo e ineludibile imperativo al quale obbedire se si intende ridare spazio ad una società civile che interpreti adeguatamente i bisogno degli uomini e si ponga al servizio della loro crescita. È su questo fronte che si concentra il nostro impegno quotidiano: in qualità di rappresentanti di una fetta preponderante della nostra società, il comparto imprenditoriale, siamo consapevoli del ruolo centrale che la nostra azione deve svolgere affinché si raggiunga quell’idea di nuova politica fin qui delineata. Per poter affrontare la sfida che ci si profila dobbiamo innanzitutto impegnarci nella creazione di presupposti etici e culturali condivisibili, rimanendo pur sempre consci del fatto che il nostro lavoro non si esaurisce in questo, ma in una più generale e puntuale ridefinizione degli obiettivi dell’azione politica.
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